Tra le innumerevoli definizioni che si possono dare, e spesso si usano, per definire la politica, io uso spesso quella che definisce la politica come “l’arte del possibile” (con tutti i distinguo e le precisazioni necessarie). Anche io ovviamente, come tutti gli esseri pensanti, ho le mie idee e sono anche sufficientemente interessato a capire e conoscere, nei miei limiti, il mondo che mi circonda e, conseguentemente, ho le mie idee politiche. Idee che, naturalmente, risparmio a che mi legge, dal momento che non è mia intenzione scrivere di politica.
Nonostante tutto, ancora oggi mi capita di seguire in televisione qualche talk show. Ne seguivo tanti, troppi, quando anche in Italia si cominciò a trasmetterne. Poi, come molti di voi sapranno, lentamente questi programmi sono diventati, o una specie di pollaio, nel quale si fa a gara a chi strilla di più per evitare che l’altro possa esprimere le proprie idee, o una specie di vetrina per il conduttore figo o piacione di turno, che in pratica non fa parlare nessuno dei partecipanti, perché li interrompe di continuo e alla fine parla più di tutti, al solo scopo di mostrare quanto è figo o quanto è acuto e via dicendo. Ma sto cercando, troppo lentamente lo ammetto, di disintossicarmi, di guardarne sempre meno e sempre meno spesso. Una delle cose che mi capita di frequente, seguendo questi programmi, è di restare deluso. C’è sempre una domanda o un’obiezione per me così evidente, così importante, che mi aspetto che il conduttore o uno degli ospiti faccia e che non viene fatta. E ogni volta ci resto male. E poiché anche nel dibattito che imperversa in questi giorni sulle unioni civili, c’è una domanda che nessuno fa, approfitto dell’occasione per farla io. Premettendo, necessariamente, che non si tratta di una scelta di campo, né di cercare di portare acqua al mulino di questa o di quella parte. Anche se, inevitabilmente, l’impressione potrà essere quella.
Così come accade oggi, anche all’epoca dei referendum sul
divorzio e sull’aborto la preoccupazione di tutti, politici, religiosi,
filosofi e sponsor a vario titolo della dottrina cattolica, era la
famiglia. L’aborto avrebbe fatto
diminuire drasticamente la natalità, le donne avrebbero abortito a tutto spiano
e così via. E il divorzio? Sarebbe stata la tomba della famiglia! L’Italia
sarebbe diventata una specie di Las Vegas, la gente avrebbe divorziato in tutta
allegria, quando il partner che aveva non gli piaceva più e così via. Dopo
decenni di rodaggio, oggi possiamo dire, in tutta onestà, che quelle erano
autentiche fesserie, terrorismo psicologico o poco meno. E se oggi la famiglia
è in crisi, è perché i nostri politici sono perennemente in campagna
elettorale, più interessati a far vincere la propria parte, il proprio sponsor, che a risolvere “seriamente” i problemi della
gente. Se i matrimoni diminuiscono, questo succede semplicemente perché è in
crisi l’economia, il lavoro è sempre poco, i giovani vivono con la pensione dei
genitori e oggi sposarsi è un lusso. E non siamo diventati Las Vegas. E se si è
reso necessario accorciare i tempi per divorziare, è semplicemente perché
divorziare costa più che sposarsi, con i tempi lunghi originariamente previsti.
E questo non incoraggia certo a sposarsi. E la riprova che le preoccupazioni
dei benemeriti difensori della famiglia erano tutte infondate e interessate, sta
nel fatto che, una volta approvate quelle leggi, anche i “diversamente cattolici”
ne hanno beneficiato ampiamente. Non posso dire sull’aborto perché, ovviamente,
sono dati che non conosciamo. Ma sul divorzio sì. Inutile precisare (ma è
necessario farlo) che quando uso la definizione “diversamente cattolici” mi
riferisco a tutti i tipi di cattolici (cattolici della domenica, cattolici di
partito, cattolici di comodo e, ovviamente, chi più ne ha più ne metta.). Va da
se che non mi riferisco ai sinceri cattolici che, lo consenta o no la legge,
comunque non divorzierebbero o abortirebbero. Ma tutti gli altri sì. Anche
quelli che erano strenuamente contrari al divorzio. Anche gli esponenti del
vecchio partito cattolico di riferimento, ormai sparito da anni. Ne hanno
beneficiato ampiamente e con tanta
disinvoltura tutti, anche i benemeriti difensori della Santa Fede, anche ai
massimi livelli. Uno di questi benemeriti, strenuo difensore della famiglia,
fieramente contrario al divorzio, all’aborto e, presumo, oggi fieramente
contrario alle unioni civili, che ha fatto la sua fortuna politica nel vecchio
partito cattolico di riferimento, ne ha beneficiato e, sposato e con figli ha
poi divorziato e risposato e messo al mondo altri figli. Bene, non ci
crederete: abbiamo corso seriamente il rischio di ritrovarcelo Presidente della
Repubblica. E non è detto che non succeda, prima o poi!
Una delle obiezioni
che, durante la campagna referendaria per il divorzio, i benemeriti difensori
della famiglia si sentivano fare spesso, era: “Ma se la vostra preoccupazione sono anche i bambini
e il loro diritto ad avere una famiglia, perché non vi date da fare per aiutare
le coppie che, non potendo avere figli, ne vorrebbero adottare uno e invece non
ci riescono?” Tentare di adottare un bambino era un autentico calvario. A
questa obiezione, i benemeriti difensori della famiglia, rispondevano come si
usava allora, e si usa ancora oggi: “Certo, questo è un grande problema che
poi, una volta passato il referendum, risolveremo.” Il “benaltrismo” per capirci. In quegli anni
un mio cugino cominciò la sua corsa a ostacoli per adottare un bambino. Ci
riuscì. Adottando un bambino di un paese dell’est, spendendo una decina di
milioni di lire e affrontando nove anni di viaggi, pratiche, richieste, visti,
pareri e tutto quello che chi conosce questi problemi sa.
La voglia di scrivere questo articolo mi è venuta quando sono
andato a fare gli auguri per il nuovo anno a una mia collega di lavoro, che non
vedevo da un po’ di tempo. Oggi ha quarant’anni, ma quando ha cominciato la sua
corsa a ostacoli ne aveva trenta. Due giovani, due stipendi (uno dei quali
statale), gente da oratorio, una coppia esemplare, senza grilli per la testa.
L’unica cosa che gli manca è un figlio. Che lei non può avere. Le ho chiesto
come andavano le pratiche per l’adozione. I suoi occhi si sono velati di
lacrime, mentre mi rispondeva: “Che vuoi che ti dica, ormai siamo stanchi e
sfiduciati, dopo dieci anni… “ Sì, perché quando ha cominciato la sua corsa a
ostacoli ne aveva trenta. E ancora non è finita.
Quando si affrontano certi argomenti che hanno a che fare con
la politica, succede come le ciliegie: una tira l’altra. Ma posso fermarmi qui,
visto che non mi piace scrivere di politica. Era necessario per chiarire e
introdurre la mia riflessione. I grandi temi, quelli che coinvolgono tutti, che
mettono a confronto idee, o meglio, ideologie diverse, rarissimamente nascono
così, di punto in bianco. Possiamo agevolmente dire che non nascono mai da un
giorno all’altro. E questo vale sia per l’aborto, sia per il divorzio, le
unioni civili, l’eutanasia e così via. I grandi temi etici, come questi, hanno
una caratteristica in comune: sono o possono diventare un problema, solo per i
poveri o, comunque, per chi non ha buone disponibilità economiche. Se avevi
soldi, potevi abortire anche prima della legge che permette il divorzio. Te ne
andavi nella tua bella clinica privata e un bravo medico che ti praticasse
l’aborto c’era sempre. Se non avevi soldi, invece, dovevi rischiare e affidarti a una mammana. Per
la verità, la situazione è la stessa, meno grave, ancora oggi. Se hai soldi per una clinica privata non devi
elemosinare il tuo diritto, negato dai troppi medici “Obiettori di coscienza” degli ospedali
pubblici. Ma questo è un altro discorso.
Anche prima che la legge permettesse il divorzio, se avevi soldi, potevi
divorziare: c’era la Sacra Rota se proprio volevi risposarti in chiesa, o te ne
andavi all’estero e ti sposavi o divorziavi e ti risposavi. Ovviamente, anche
se non avevi soldi, avevi diverse alternative, la migliore delle quali era
rassegnarsi e vivere infelice per tutta la vita. E anche per le leggi che
ancora non ci sono ma che prima o poi arriveranno, il problema è solo per chi
non ha soldi. Quando arriverà una legge che permette di morire dignitosamente,
ovviamente nessun sincero credente sarà costretto ad affrettare la sua morte.
Ma darà a tutti la possibilità che oggi ha solo chi ha soldi disponibili. Oggi,
per chi decide di morire dignitosamente e non diventare un corpo ostaggio dei
medici, della famiglia, della parrocchia o chissà chi altri, c’è la possibilità
di fare un viaggio, (nemmeno tanto lungo, basta arrivare in Svizzera) e con più
o meno quattromila euro morire dignitosamente e assistito fino all’ultimo
momento, in una clinica. Nel dibattito di oggi sulle unioni civili, viene
introdotto l’argomento dell’utero in affitto. In Italia questo non è possibile
e sono tante le leggi che, per un motivo o per un altro, lo rendono
impossibile. Ovviamente già adesso però è possibile avere un figlio in questo
modo. Basta avere soldi a sufficienza. Te ne vai all’estero senza figli e
torni, dopo un po’ di tempo, con un figlio, regolarmente registrato
all’anagrafe di un altro paese e così diventi, anche in Italia, papà a tutti
gli effetti. Semplice, no?
E’ sicuro, è inevitabile che, quando sarà “possibile”, avremo
anche noi, come sempre quasi ultimi nel mondo occidentale, una legge decente
sulle unioni civili. Chiunque ha un minimo di buon senso lo sa. E’ un fatto di
tempo, ma è inevitabile e di questo sono coscienti tutti, compresa la Chiesa, i
sinceri cattolici e i “diversamente cattolici.” E allora qual è il problema?
Ecco, io mi sono posto un problema, e ci penso di continuo. E vorrei che anche
chi mi legge ci pensasse. Di divorzio e di aborto, dicevo, non sì è cominciato
a parlare da un giorno all’altro. Da quando il problema è stato posto
decisamente, in termini politici, al giorno in cui l’aborto è stato possibile,
quanto tempo sarà passato? Cinque, dieci, vent’anni? Ancor prima che la
possibilità di abortire diventasse legge, quanti antiabortisti, ad un certo
punto, si sono resi conto che era una battaglia insostenibile e che prima o poi
sarebbe stata persa? Quando lo hanno capito? Un anno, due anni, dieci anni
prima? E quando lo hanno capito gli antidivorzisti che il divorzio, nonostante
la loro contrarietà, sarebbe comunque diventato possibile? Un anno, due anni,
dieci anni prima? Bene, che sia uno, che siano due, che siano dieci anni, tutte
le ragazze, le donne che in quel periodo sono morte sui tavoli delle mammane, o
da sole, cercando di procurarsi un aborto, perché sono morte? E tutte le
tragedie familiari fatte di mogli picchiate, di figli maltrattati, di suicidi
in quell’uno, due o dieci anni… perché è successo? Qualche anno fa è morto un
famoso cantante che aveva un compagno. Un compagno di vita da più di vent’anni.
Lui era il suo compagno e la sua famiglia. Ma la legge sulle unioni civili
ancora non c’è. E lui, appena è morto il suo compagno, è stato buttato fuori
dalla sua “famiglia” che, ovviamente, non ha nemmeno pensato di parlare di
eredità, con lui. Tra un anno, due,
dieci, ci sarà una legge sulle unioni civili. Piaccia o non piaccia ai
diversamente cattolici, ma anche ai cattolici e alla Chiesa. E quando la legge
ci sarà, quella persona si dirà: “Sono stato sfortunato, se quella legge fosse
arrivata uno, due, dieci anni prima!” Così come molte mamme di ragazze morte
per un aborto clandestino, si saranno dette: “Mia figlia è stata sfortunata, se
quella legge fosse arrivata uno, due, dieci anni prima!” E lo stesso vale per
il divorzio e per l’eutanasia. Quando ti rendi conto che la tua battaglia è
persa, è umano continuare a vedere morire la gente, o rovinargli la vita, in
nome dei “tuoi” valori? Ovviamente la mia domanda non la pongo ai “diversamente
cattolici”. Loro hanno altri interessi da tutelare.
Augusto Novali
dicembre 2015
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