Nel dialetto napoletano esiste una sola parola, “o’
ggiurnalista”, per indicare due diversi mestieri. Allo stesso modo, con la
stessa parola, quel dialetto indica sia il giornalista, quello che scrive gli
articoli, sia l’edicolante, quello che vende i giornali. Nella lingua italiana
questa distinzione è ancora utile, appunto, per indicare questa differenza. Ma
nella realtà, serve ancora? Esiste ancora questa differenza? Io credo di no, o
almeno, credo che questa differenza tenda sempre più a scomparire. Alcuni
titoli di certa stampa, in questi giorni, in occasione dell’attentato di Parigi
ad opera di terroristi islamici, ne sono la dimostrazione. Certi titoli non si
fanno per dire di cosa si parla nell’articolo, o per dare una prima notizia sommaria
ma, semplicemente, per creare scalpore e vendere copie. Di fatto, il
giornalista che fa operazioni del genere, si trasforma da giornalista in
giornalaio. Prove ancora più immediate e continue ne abbiamo, tutte le
settimane, nei talk show, oggi tanto di
moda. Per sapere di che si parla, di come si tratterà l’argomento e cosa si
dirà, non è più necessario seguirli. Ti basta sapere chi sono “gli ospiti” che
il conduttore ha invitato. Se, per fare un esempio, l’argomento della
discussione ci interessa e ci piacerebbe sentire opinioni diverse, il confronto
e tutte le cose che, nel preistorico dei talk show, erano lo scopo del
programma, ti basta vedere chi sono “gli ospiti”. Se il conduttore, per dirne
una, ha deciso di invitare un bravo storico dell’arte, che poi da storico
dell’arte si è trasformato in prima donna dei talk show, diventando famoso per
il linguaggio che farebbe vergognare uno scaricatore di porto e per le sue
crisi isteriche in diretta, con in bella mostra tutte le vene che stanno per
scoppiargli durante il suo attacco isterico… ecco, non è necessario seguire
quel programma, perché sai già in partenza che la “discussione” sarà
inesistente, che il personaggio è stato invitato solo per dare colore, per dare
scandalo o, quanto meno, per vivacizzare un programma che, diversamente, il giornalista-conduttore
non sarebbe in grado di poter gestire con competenza o in modo interessante o
coinvolgente. Non è tutto qui, e non è solo questo, il male che ne viene al
paese reale. Io non so se anche negli altri paesi del mondo, esiste questa
distinzione tra “paese reale” e la controparte, che io definisco “paese lassù”.
Due mondi che non hanno niente a che vedere, se non fosse per il fatto che il
“paese lassù” condiziona, pesantemente, il “paese reale” del quale, in sostanza,
al “paese lassù”, non gliene potrebbe fregare di meno. Cosicché oggi, per fare
un esempio, potremmo, se ce ne fosse l’interesse, chiederci chi sono, che
fanno, che pensano, come vivono e così via, i giovani oggi. Magari potrebbe
essere interessante conoscere, di quando in quando, qualche scrittore tedesco,
qualche cantante spagnolo, sapere qualcosa di più della società francese e così
via. Ma niente. Tranne qualche periodico accenno, il massimo di informazione
“altra” che riesci ad avere, sono i risultati del superbowl americano e un po’
di cose alla rinfusa sulle società angloamericane. Il giornalismo, quello vero,
costa fatica e rende poco, e a volte può anche essere pericoloso, e allora
siamo invasi dai giornalai che, non essendo “redditizio” l’argomento, si
limitano, di quando in quando, a prendere atto della situazione, informandoci
periodicamente dei giovani in fuga (non solo i “cervelli”!) verso altri paesi,
dei “ragazzi” quasi quarantenni che ancora vivono con i genitori, dei no tav, dei black block e poco altro.
Poco più di qualche nota di colore o di cronaca.
E’, più o meno, dalla caduta del muro di Berlino che si è
cominciato a predicare di “mercato”, anzi, per la precisione, di “libero
mercato”. E così è capitato che, lentamente, silenziosamente, la politica ha
perso sempre più valore, sempre più credibilità, è sempre meno presentabile e,
lentamente, silenziosamente, la parola “libero” non serve più alla parola
“mercato”. Non serve più e il mercato, rimasto da solo, cresciuto in silenzio,
lontano da attenzioni indiscrete, ha soppiantato la politica e, di fatto, da
solo, oggi governa il mondo. In tutti i settori, in tutti i paesi. Oggi è
l’economia che decide, non più la politica, ridotta al ruolo di ancella della
finanza. E c’è differenza tra economia e finanza, anche se troppo spesso queste
due parole si usano come sinonimi. E allora, poiché ho già scritto troppo in
termini “politici”, vorrei semplicemente cercare di capire in che modo e in che
misura, tutto questo condiziona la scrittura e lo scrittore. E a proposito di libero
mercato, che ovviamente non esiste più nemmeno nell’editoria (vedi, per fare un
esempio, i grandi raggruppamenti editoriali di questi ultimi mesi), la
situazione attuale mi conferma sempre più nella mia idea, che lo scrittore non
debba avere altra preoccupazione se non quella di scrivere di quello che sente,
senza porsi altri limiti o fare altre considerazioni. Nemmeno il successo o
l’ambire al successo ha senso, nella situazione attuale. Perché per avere
successo, uno degli ultimi (in ordine di importanza) requisiti necessari è
avere talento, avere cose da dire e saperle dire. Questo non basta più e quasi
mai è un fattore determinante. Provate a scorrere le classifiche dei libri più
venduti della settimana, del mese, o dell’anno. Ai primi tre, quattro posti
troverete, quasi sempre, dei giornalisti o dei personaggi televisivi. In questa
settimana, per guardare ai fatti, nei primi tre posti troverete Bruno Vespa,
Alan Friedman, Fabio Volo. Nessuno di questi personaggi nasce come scrittore.
Chi più, chi meno, ha semplicemente sfruttato le possibilità che gli venivano
dalle loro carriere: politiche, nel mondo dello spettacolo o accademico e,
arrivati al piccolo schermo, hanno pensato bene, giustamente, di trarne il
massimo del vantaggio. Se unisci l’utile al dilettevole e, per fare un esempio,
sei un bravo economista, giornalista e, grazie a questo, riesci ad apparire in
televisione e farti conoscere da milioni di telespettatori… scrivere un libro è
il minimo che puoi fare. E’ quasi inevitabile! Un’anima bella subito s’immagina
che scrivi un libro di economia, che spieghi l’economia, o la politica e
l’economia, e via di questo passo. Ma se non sei un’anima bella, hai senso
pratico e hai l’accortezza di scrivere un libro sul politico più conosciuto del
paese… bingo! Le xmila copie sono assicurate. A prescindere. Naturalmente non
devi necessariamente essere una cima, un economista o un bravo giornalista per
fare bingo, tutto questo non è fondamentale. Se, per dirne una, sei il
Presidente della terza Camera del paese, cammini per i corridoi Rai da una
vita, hai tutte le maniglie e gli ammanigliamenti possibili, tutto diventa più
semplice. Scrivere libri, a questo punto, è inevitabile. Ti procuri il più
grande editore del paese, ti fai pubblicare-sponsorizzare dalla tua azienda e
voilà, il gioco è fatto! Puoi scrivere di tutto, così come ti pare e i libri
che scrivi avranno assicurate xmila copie ad ogni uscita. Al massimo dello
splendore, perché no, puoi anche diventare uno storico. Le xmila copie sono
comunque sicure. E se poi tra venti, trenta anni a nessuno mai salterà il
ticchio di comprare un tuo libro, che te ne frega, il tuo te lo sei assicurato!
Oggi l’importante è apparire in televisione. Magari fai un po’ di gavetta,
cominci con la radio, magari fai qualche tentativo in teatro, ti fai conoscere
e… appena ti danno il tuo programma televisivo prendi il “volo” e anche tu
entri a far parte, a pieno diritto, del club degli xmila. Ovviamente, sapete
come funziona il sistema: io t’invito al mio talk show, tu vieni alle
presentazioni del mio libro, io t’intervisto sulla Pappardella implume della Mongolia
e tu presenti il mio libro, e così via. E’ notevole il fatto che, all’interno
di questo sistema, in particolar modo se sei un politico, non sempre è
necessario essere sulla cresta dell’onda. Se hai stabilito le tue relazioni in
modo attento, l’effetto benefico della “vita di relazioni” si fa sentire anche
dopo anni. E’ appena finita l’ultima persecuzione mediatica, durata poco questa
volta (due, tre settimane) sull’ultimo libro del politico di turno. Ma è stata
terribile. Un autentico fuoco di fila. Che fosse rai uno, due o tre, che fosse
radio uno, due o tre, che fosse un programma politico, di satira, comico o
drammatico, c’era lui, implacabile, che parlava, teneramente, del suo nuovo
libro! Provate a quantificare, in termini economici, di vile moneta, quanto
costerebbe ad uno sconosciuto scrittore, una campagna pubblicitaria del genere “Campagna
Vespa”. Una cifra impossibile. Una campagna pubblicitaria del genere puoi
averla solo gratis. Se hai una buona “vita di relazioni”. Per questo trovo
assurdo e inutile l’abitudine, la scelta, di molti scrittori o aspiranti
scrittori di successo, di ambientare a New York invece che ad Abbiategrasso le
loro storie, solo perché è più trendy. O parlare di un argomento difficile in
un modo, con una prosa, che attiri molti, senza scontentare nessuno. Se
l’argomento che scegli è tosto, difficile, controverso, scriverne in un modo
“politically correct” non assicura maggior successo solo perché accontenta
tutti e non irrita nessuno. E ancor più,
se non hai un minimo di “vita di relazioni”, è probabile che le cose che
scrivi, anche se sono belle, se sono scritte bene, interessanti eccetera, non
troveranno mai un editore disposto a pubblicarle, senza che tu debba dargli
soldi. E allora, a questo punto, perché limitarsi, autocensurarsi, seguire le
mode e magari non scrivere come e di cosa ti piacerebbe scrivere? Tutto questo
non ha senso. Scrivere per il solo piacere di scrivere, di quello che ti piace
e scriverne come ti piace, non ha prezzo. Per tutto il resto, come si diceva in
quella efficace campagna pubblicitaria, c’è la “vita di relazioni”. Non che sia
deprecabile una scelta del genere. Ma se avete un minimo di “vita di relazioni”
che possa farvi sperare in una pubblicazione, magari di successo, allora
bisogna avere un piano di lavoro, una “strategia vincente”. Lasciate stare la
correzione e la ricorrezione spasmodica, a caccia del refuso o dell’apostrofo o
dell’accento sbagliato. C’è in giro un esercito di maestrine con la penna rossa
e blu che, implacabili, ve lo segnaleranno. Voi fate debita ammenda e
correggete. Non perdete troppo tempo a sforzarvi di nobilitare il vostro
scritto, introducendo elementi
“filosofici” o di alto valore “culturale” se non sono necessari e-o funzionali
al libro che state scrivendo. Chi compra il vostro libro o e-book lo fa
semplicemente perché gli piace quello che scrivete e come lo scrivete, e
soprassiede volentieri a qualche errore di sintassi, di grammatica o che so io.
E se il grande giorno arriva e trovate la casa editrice che lo pubblica, ci
sarà qualche addetto che sniderà tutti gli errori o i refusi che avete
tralasciato. Ovviamente se è una casa editrice più o meno seria e
sufficientemente attrezzata. A questo punto, per concludere e per chiarire
meglio quello che penso, mi tocca tornare a Camilleri, al quale ho accennato in
un mio precedente articolo. Non potrei, per come penso, definirlo “un grande
scrittore”, nel senso aulico che spesso si da a questa definizione. Ma sono
pienamente convinto che Camilleri sia un ottimo scrittore, tra i più bravi nell’asfittico
panorama letterario italiano, e che il suo successo sia, ampiamente, più che
meritato. Camilleri non si è costruito una “vita di relazioni”, che pure
avrebbe potuto agevolmente organizzarsi, dal momento che ha lavorato in Rai per
cinquant’anni, poco più, poco meno. E ci è stato, per tutti questi anni, non
grazie alle maniglie e agli ammanigliamenti, ma perché era un ottimo
sceneggiatore, soggettista. Ha fatto la sua gavetta e, prima di Montalbano,
aveva pubblicato alcune cose con case editrici minori, si è interessato di
teatro ed è stato uno tra i primi a far conoscere grandi autori stranieri nel
nostro paese e… nemmeno quando se lo sarebbe potuto permettere si è fatto
abbagliare dalla Grande Casa Editrice Pigliatutto. Continua a pubblicare con
una casa "minore“ anche dopo il clamoroso successo della serie di
Montalbano. E così via.
Conclusione? Forse tra venti o trent’anni ci sarà ancora
qualcuno che entrerà in una libreria per chiedere se hanno un libro di
Camilleri. Per tutto il resto, continuate a scrivere e… rilassatevi!
©Augusto Novali
Febbraio 2016
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